Depongo il mio paniere d'anni nella madia del tempo Stringo la mano ai nuovi giorni e bollicine di pensieri danzano il ballo della speranza intorno al cuore Tutto è pronto per un anno migliore!
- vittima
afgana della violenza e
del pregiudizio -
e a tutte le donne oltraggiate nel corpo e nell’anima
Sgorgò
alfine il tuo canto
tremante di coraggio
quel canto
che ti rendeva viva
nell'esistere
quel canto
che ti baciava l'anima
e la mente
quel canto
che sfidava
paura e oltraggio.
E ti costò la vita
tanto ardire.
Con tremore della mano
accarezziamo i tuoi versi
preziosa reliquia
di soffocati aneliti
monito
all'insipienza crudele
di chi non sa amare
e rispettare
la libertà e la vita.
- Giovanna Giordani -
Nessuna voglia di cantare
Che cosa dovrei cantare? Io, che sono odiata dalla vita. Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare. Perché dovrei parlare di dolcezza? Quando sento l’amarezza. L’oppressore si diletta. Ha battuto la mia bocca. Non ho un compagno nella vita. Per chi posso essere dolce? Non c’è nessuna differenza tra parlare, ridere, Morire, esistere. Soltanto io e la mia forzata solitudine Insieme al dispiacere e alla tristezza. Sono nata per il nulla. La mia bocca dovrebbe essere sigillata. Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente. E il tempo per celebrare. Cosa dovrei fare con un’ala bloccata? Che non mi permette di volare. Sono stata silenziosa troppo a lungo. Ma non ho dimenticato la melodia, Perché ogni istante bisbiglio le canzoni del mio cuore Ricordando a me stessa il giorno in cui romperò la gabbia Per volare via da questa solitudine E cantare come una persona malinconica. Io non sono un debole pioppo Scosso dal vento Io sono una donna afgana E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi
.....e riascolto in questa poesia la voce armoniosa di mia madre
mentre la recitava accanto al presepe che per noi piccoli era piacevole stupore e magia...
- Consolati, Maria, del tuo pellegrinare! Siam giunti. Ecco Betlemme ornata di trofei. Presso quell'osteria potremo riposare, ché troppo stanco sono e troppo stanca sei.
Il campanile scocca lentamente le sei.
- Avete un po' di posto, o voi del Caval Grigio? Un po' di posto per me e per Giuseppe? - Signori, ce ne duole: è notte di prodigio; son troppi i forestieri; le stanze ho piene zeppe
Il campanile scocca lentamente le sette.
- Oste del Moro, avete un rifugio per noi? Mia moglie più non regge ed io son così rotto! - Tutto l'albergo ho pieno, soppalchi e ballatoi: Tentate al Cervo Bianco, quell'osteria più sotto.
Il campanile scocca lentamente le otto.
- O voi del Cervo Bianco, un sottoscala almeno avete per dormire? Non ci mandate altrove! - S'attende la cometa. Tutto l'albergo ho pieno d'astronomi e di dotti, qui giunti d'ogni dove.
Il campanile scocca lentamente le nove.
- Ostessa dei Tre Merli, pietà d'una sorella! Pensate in quale stato e quanta strada feci! - Ma fin sui tetti ho gente: attendono la stella. Son negromanti, magi persiani, egizi, greci...
Il campanile scocca lentamente le dieci.
- Oste di Cesarea... - Un vecchio falegname? Albergarlo? Sua moglie? Albergarli per niente? L'albergo è tutto pieno di cavalieri e dame non amo la miscela dell'alta e bassa gente.
Il campanile scocca le undici lentamente.
La neve! - ecco una stalla! - Avrà posto per due? - Che freddo! - Siamo a sosta - Ma quanta neve, quanta! Un po' ci scalderanno quell'asino e quel bue... Maria già trascolora, divinamente affranta...
Il campanile scocca La Mezzanotte Santa.
È nato! Alleluja! Alleluja!
È nato il Sovrano Bambino. La notte, che già fu sì buia, risplende d'un astro divino. Orsù, cornamuse, più gaje suonate; squillate, campane! Venite, pastori e massaie, o genti vicine e lontane!
Non sete, non molli tappeti, ma, come nei libri hanno detto da quattro mill'anni i Profeti, un poco di paglia ha per letto. Per quattro mill'anni s'attese quest'ora su tutte le ore. È nato! È nato il Signore! È nato nel nostro paese! Risplende d'un astro divino La notte che già fu sì buia. È nato il Sovrano Bambino.
E tu sorridi
vestito d'innocenza
nella tua culla di paglia
le manine levate
a cercare gli abbracci
sorridi
ignaro
della tremenda profezia
(quante, come te,
le vittime innocenti
troppe)
Sorridi nelle chiese
nelle case
dagli scaffali dei megastores
dalle vetrine
dai mille angoli del mondo
sorridi
perchè sia rinnovata
nella Notte chiara
la fulgida speranza
e si apra lo spiraglio
della tua luce di diamante
nel buio pesto
dei cuori
Alla Giuria del Concorso e
all’Associazione Nuova Acropoli ancora un grazie per la gioia procuratami dall’assegnazione
del secondo posto in classifica.
A tutti coloro che passeranno di qui
BUON NATALE e BUON ANNO E CHE DAL CIELO SCENDANO "REFOLI" DI PACE NELLE MENTI E NEI CUORI
Eugenia, bambina,
aveva dovuto lasciare bruscamente la sua casa, il suo paese e le sue
“briciole di giochi”, per affrontare una
nuova realtà della vita che, troppo
spesso, riserva “lacrime di perla”…
Michelangelo Spagnolli, poeta e scrittore trentino, descrive molto bene in questa commovente
poesia, l’allontanamento dai luoghi dell’infanzia e l’attraversamento della
galleria scavata nella roccia che divideva il mondo delle certezze della bimba per il mondo delle incognite della vita.
Ed oggi un momento di nostalgia ben descritto in dialetto roveretano (uno dei dialetti trentini) dell'amica e poetessa Laura Baldessari. Leggerla mi commuove sempre perchè su quella "spiageta", spesso, fra quei "compagnoti"..... c'ero anch'io!
Dalla silloge "Nel silenzio dei rumori" di Gavino Puggioni, ospito qui volentieri una encomiabile poesia che riassume gran parte della poetica di questo sensibilissimo autore e cioè la sua massima attenzione ai bambini più sfortunati del pianeta.
Nel silenzio dei rumori un viso di bambino abbandonato mai amato creatura dell'Universo ci saluta Le sue mani tremule come foglie al vento la voce fioca e la bava bianca di fame e di sete labbra di sangue ci parlano.... e ancora ci stanno parlando Ma noi siamo sordi! - Gavino Puggioni -
Il poeta aveva gli occhi chiari e nel cuore aurore boreali di notte cavalcava gli ippogrifi e di giorno sognava di volare
Il poeta parlava con il vento per sapere il segreto delle cose ma il vento non stava ad ascoltare e gli lasciava polvere sul viso
Il poeta cercava sempre un canto anche dentro lo spegnersi del sole e quando una pena l'opprimeva piantava fiori dentro i suoi pensieri. - Giovanna Giordani -
Anche quel giorno estivo stava giungendo al termine.
La brezza pomeridiana si stava trasformando gradatamente in un
vento sempre più insistente che si divertiva a giocare con tutto ciò che gli
capitava a tiro.
Il pino marittimo, alquanto inclinato, come la schiena di un
vecchio acciaccato, era l’unico a dare il benvenuto a quel ventaccio che non
preannunciava niente di buono.
Egli accoglieva il vento sempre con favore perché, il suo
arrivo, ravvivava in lui una segreta speranza, un suo grande antico sogno, fin da quando era nato, lì sul viale in riva
al mare.
Ormai conosceva a memoria tutti i discorsi dei passanti e la
solita domanda che i bambini rivolgevano ai genitori: - come mai quel pino ha
il tronco così inclinato, così storto? –
- E’ a causa del vento – rispondevano gli adulti.
E il pino li guardava mentre correvano verso la spiaggia,
seguiva l’andirivieni delle persone e spesso era contento di poter essere utile
a qualcuno che cercava momentaneo ristoro accanto alla sua ombra.
Quella sera sembrava che il vento facesse proprio sul serio.
Aveva rovesciato gli ombrelloni e tutti erano impegnati nel mettersi al sicuro.
Nubi minacciose avanzavano scure e gonfie di pioggia dalla linea plumbea del
mare le cui onde erano sempre più alte e fragorose.
Il pino, anche questa volta, si lasciò sbeffeggiare piegandosi
sempre di più verso il basso. Tutti
correvano, come al solito, correvano e lui… avrebbe voluto anche lui… Un
bagliore attraversò il cielo seguito dall’enorme fragore di un tuono e grossi
goccioloni cominciarono a cadere con sempre maggiore insistenza e intensità. Il
vento sembrava sfogare una arcana rabbia repressa e si abbatteva impietoso su
ogni cosa. Il pino marittimo si contorceva, piegandosi sempre di più e, quasi
inginocchiato, sfiorando l’asfalto, cominciò a pregare così’:
- vieni ventaccio, vieni, forza, forza, insisti, più forte, dai,
sradica, sradica queste radici, ti prego… aiutami… -
Il vento sembrava aver capito e cominciò a ululare come non
aveva fatto mai, avventandosi con tutta la sua energia su quel pino marittimo
la cui maestosa e folta chioma era ormai tutta scomposta e spettinata. Le raffiche erano una più forte dell’altra
finchè ebbero la meglio sulle radici che, non riuscendo più a resistere,
cominciarono ad allentare la loro presa nella terra.
L’albero ebbe la certezza
che qualcosa di importante stava accadendo in lui. Era una strana
sensazione di leggerezza… Si sentì all’improvviso librare nell’aria.
- Ecco fatto – brontolò il vento. – Ora sei libero –
- Portami lontano – lo supplicò il pino marittimo. Allora il
vento radunò tutte le forze rimastigli e lo sollevò spingendolo in alto, lungo
la spiaggia. Il pino vide le sue radici danzare nell’aria e si sentì pervadere
da una felicità mai provata – E’ meraviglioso – si disse – sono libero, sto
volando, grazie, vento -.
Questi si stava chetando e rispose: - ora devo lasciarti, per
oggi la mia parte è finita, non posso far altro che augurarti buona fortuna
–.
Il pino cadde con un
tonfo sulla sabbia e guardò le sue radici rivolte verso il cielo.
Il mattino seguente accorsero in tanti a vedere il grande pino divelto. – Ma quante
gambe ha! – disse un bimbo alla mamma.
- Si, ma purtroppo non può camminare – lei rispose.
All’udire queste parole il pino tornò a rivolgere lo sguardo
alle sue radici. Esse si tendevano verso l’alto, inondate dal sole.
- Non angustiatevi mie radici – sussurrò il pino – non potrete
camminare, ma voi sole sapete la gioia immensa che provaste nel volare, libere,
sopra il mare e la felicità che provate nell’assaporare il calore dei baci del
sole - .
Poi,
socchiuse i suoi grandi occhi verdi e i passanti non poterono mai vedere il suo
sorriso mentre la brezza mattutina lo accarezzava indugiando a sussurrare
incomprensibili parole fra la sua folta chioma adagiata sulla sabbia del mare.
- Giovanna
Giordani -
Questo mio racconto, letto in rete, ha
ispirato il seguente cortometraggio dal titolo 10.411. L’autore dice che è il
numero di minori scomparsi in Italia dal 1973.
Il racconto
inoltre è inserito nell’antologia curata da Gaia Cenciarelli, “Auroralia”.
Apro dicembre con questa splendida poesia "manifesto" della poetessa Maria Carmen Lama
Se muore la parola
tutto si ferma,
sbiadiscono i colori delle rose,
attonito sta il cielo
ad avvolgere il mondo,
consapevole del suo
essere inutile.
A me, tutto d'intorno,
cresce il silenzio,
come torre d'avorio
mi rinchiude,
altro non so e non vedo,
altro non sento
che il battito del cuore
sempre più lento
sempre più distratto,
consapevole del suo
essere inutile.
Se muore la parola
io piango il lutto
mentre l'abbraccio
per tutto quel che è stata,
per l'amore che ha cullato
in te, in me, in noi,
ma insieme a lei
anch'io io dentro muoio.
Se la parola muore
non esiste più nulla.
Maria Carmen Lama - dalla sua silloge "Prigioniere del silenzio"