E visto il clima elettorale ecco cosa ci propone questa simpaticissima artista
Le e-lezioni delle povere bestie
di Domenica Luise
I lupi in veste di lupo e i lupi in veste di agnello avevano fatto alleanza per vincere le elezioni e mangiarsi il gregge, ma all’ultimo momento era spuntato un nuovo partito che disorientò tutti i progetti: gli agnelli in veste di lupo coi lupacchiotti al seguito, che tentavano di sopravvivere o così affermavano. I leoni e le leonesse, le iene ridentes e piagnucolantes, le tigri, i puma e tutte le belve, intenzionati a farsi lautamente mantenere da topi, gatti, cani e bestiole varie, si affrettarono a presentare ognuno il proprio simbolo, ma anche le pulci, che erano universalmente presenti sui diversi manti pelosi, si dettero da fare, cercarono alleanze e formarono una lista di alti acrobati dei conti pubblici. E tutti si organizzarono svelando in televisione le magagne vicendevoli, sempre le stesse secondo i corsi e i ricorsi storici di vichiana memoria, sicché alla fine nessuno capì più niente tranne una cosa elementareuniversalmente nota: che a pagare le tasse e permettere la sopravvivenza economica del pianeta non erano i ricconi, a parte le lodevoli eccezioni, che evadevano e avevano sempre ragione, né i mendicanti, che soldi non ne avevano o facevano finta di non averne, ma quelli di mezzo:professorucoli, pensionatucci, impiegatucci, fattorini portabagagli, colf messe in regola e via così temporeggiando. In realtà gli unici che lavoravano davvero erano i volontari, su cui si basava il benessere del pianeta, perché lo facevano solo per amore e non per rubare il denaro pubblico o i soldi della beneficenza.
< C’è crisi, c’è crisi> squittivano i topi, compresi Topolino e Minnie.
< Ma che è questa quaresima?> si lamentavano i leoni maschi perché le prede trascinate dalle femmine erano sempre più magre e anemiche.
< Perfino la luna piena non dà più la sua bella luce, è imbronciata, rannuvolata, quasi piangente> ululavano i lupi, anche i cani gli facevano il controcanto abbaiando a tempo al ritmo della coda.
< Smettetela di sfottermi> rispondeva la luna, <ho appena pagato la seconda rata dell’imu celestiale e mi è passata la voglia di scherzare>.
< Tutte bugie per manovrare la popolazione> strepitavano le iene rosicchiando le ossa rimaste dopo il banchetto di condor e sparvieri.
< Chicchirichì> intervenne il gallo, <e cosa dovrei dire io, mi hanno perfino accusato di essere un estremista violento solo perché ho queste quaranta galline da tenere in riga, se non le becco per bene non obbediscono, come tutte le femmine, ma io sono buono, lo faccio per il loro bene, per i figli, i posteri e il pianeta, mica per il piacere di fare loro sanguinare il collo e la schiena>.
Le galline, tutte insieme ammassate in un angolo perché si spaventavano di buscarle ancora, mormoravano sottovoce: <Coccodè. Ma che colpa abbiamo noi, sempre a spremerci e fare le uova, covare e crescere i pulcini e neanche dicono mamma e pio pio che già ci sono le altre uova e le altre covate> e presentarono una propria lista per la liberazione delle femmine.
< È il meccanicismo illuministico che condanna alla sofferenza> teorizzava una gallina di cultura, che aveva aperto un blog di poesia infrequentatissimo ed era perfino laureata.
< Ma tu per chi voti?>.
< Non lo so, e tu?>.
< Votare bisogna, un’opinione ci vuole>.
< Sì, ma cosa scegliere?>.
< I lupi no, troppo ululanti e sono pure ladri>.
< I leoni nemmeno, troppo presuntuosi, sono maschilisti e rubano a dritta e a manca>.
< Le iene ci mangerebbero subito e sono tutte ladre>.
< Le pulci fanno le finte tonte, ma sono innumerevoli e hanno un motto preoccupante: l’unione fa la forza>.
< Anche loro rubano sempre doppia porzione di sangue e si sono organizzate in eserciti di squadre violente>.
< Coccodè, daremo tutte a noi stesse il nostro prezioso voto>.
< Forse le oche potrebbero allearsi con noi>.
Ma anche le oche avevano presentato la propria lista, che intitolarono Campidoglio.
< Vota per me> disse la formica, <sono una che fa lavorare gli altri>.
< No, vota per me> fece l’ape, <altrimenti ti pungo a morte insieme allo sciame>. <No, vota per me> sbraitò la tigre, <altrimenti ne patirebbe il commercio delle armi e senza guerre qui o lì come camperemmo?>.
Così ognuno votò per sè e per i fatti propri e gli unici che votarono per gli altri furono quelli che non avevano potere, che pagavano le tasse e si ostinavano a risparmiare in tempi di magra, temendo che alla fine arrivassero tempi più magri ancora e che la banca a cui dovevano l’ultima rata del mutuo gli levasse la casa e l’orto.
La conclusione fu che le tasse superarono ben presto gli stipendi e, dopo il fallimento delle piccole e medie imprese, nessuno poté più pagarle, così li condannarono ai lavori forzati e si vedevano professori anche universitari, medici, ingegneri e farmacisti insieme a poveri poeti, maestri d’arte, ferraioli e pensionati perfino ottantenni che sterravano le strade, riparavano le case cadenti e lavoravano la terra nuovamente col bue e l’asinello per risparmiare. Di buono ci fu che diminuirono i mucchi di spazzatura, le discariche si liberarono, si tornò al baratto, al carbone e tutti i ragazzi smisero di giocare sempre al computer e organizzare feste sceme con qualunque scusa.
< C’è crisi, c’è crisi> squittivano i topi, compresi Topolino e Minnie.
< Ma che è questa quaresima?> si lamentavano i leoni maschi perché le prede trascinate dalle femmine erano sempre più magre e anemiche.
< Perfino la luna piena non dà più la sua bella luce, è imbronciata, rannuvolata, quasi piangente> ululavano i lupi, anche i cani gli facevano il controcanto abbaiando a tempo al ritmo della coda.
< Smettetela di sfottermi> rispondeva la luna, <ho appena pagato la seconda rata dell’imu celestiale e mi è passata la voglia di scherzare>.
< Tutte bugie per manovrare la popolazione> strepitavano le iene rosicchiando le ossa rimaste dopo il banchetto di condor e sparvieri.
< Chicchirichì> intervenne il gallo, <e cosa dovrei dire io, mi hanno perfino accusato di essere un estremista violento solo perché ho queste quaranta galline da tenere in riga, se non le becco per bene non obbediscono, come tutte le femmine, ma io sono buono, lo faccio per il loro bene, per i figli, i posteri e il pianeta, mica per il piacere di fare loro sanguinare il collo e la schiena>.
Le galline, tutte insieme ammassate in un angolo perché si spaventavano di buscarle ancora, mormoravano sottovoce: <Coccodè. Ma che colpa abbiamo noi, sempre a spremerci e fare le uova, covare e crescere i pulcini e neanche dicono mamma e pio pio che già ci sono le altre uova e le altre covate> e presentarono una propria lista per la liberazione delle femmine.
< È il meccanicismo illuministico che condanna alla sofferenza> teorizzava una gallina di cultura, che aveva aperto un blog di poesia infrequentatissimo ed era perfino laureata.
< Ma tu per chi voti?>.
< Non lo so, e tu?>.
< Votare bisogna, un’opinione ci vuole>.
< Sì, ma cosa scegliere?>.
< I lupi no, troppo ululanti e sono pure ladri>.
< I leoni nemmeno, troppo presuntuosi, sono maschilisti e rubano a dritta e a manca>.
< Le iene ci mangerebbero subito e sono tutte ladre>.
< Le pulci fanno le finte tonte, ma sono innumerevoli e hanno un motto preoccupante: l’unione fa la forza>.
< Anche loro rubano sempre doppia porzione di sangue e si sono organizzate in eserciti di squadre violente>.
< Coccodè, daremo tutte a noi stesse il nostro prezioso voto>.
< Forse le oche potrebbero allearsi con noi>.
Ma anche le oche avevano presentato la propria lista, che intitolarono Campidoglio.
< Vota per me> disse la formica, <sono una che fa lavorare gli altri>.
< No, vota per me> fece l’ape, <altrimenti ti pungo a morte insieme allo sciame>. <No, vota per me> sbraitò la tigre, <altrimenti ne patirebbe il commercio delle armi e senza guerre qui o lì come camperemmo?>.
Così ognuno votò per sè e per i fatti propri e gli unici che votarono per gli altri furono quelli che non avevano potere, che pagavano le tasse e si ostinavano a risparmiare in tempi di magra, temendo che alla fine arrivassero tempi più magri ancora e che la banca a cui dovevano l’ultima rata del mutuo gli levasse la casa e l’orto.
La conclusione fu che le tasse superarono ben presto gli stipendi e, dopo il fallimento delle piccole e medie imprese, nessuno poté più pagarle, così li condannarono ai lavori forzati e si vedevano professori anche universitari, medici, ingegneri e farmacisti insieme a poveri poeti, maestri d’arte, ferraioli e pensionati perfino ottantenni che sterravano le strade, riparavano le case cadenti e lavoravano la terra nuovamente col bue e l’asinello per risparmiare. Di buono ci fu che diminuirono i mucchi di spazzatura, le discariche si liberarono, si tornò al baratto, al carbone e tutti i ragazzi smisero di giocare sempre al computer e organizzare feste sceme con qualunque scusa.
- Domenica Luise -
Probabilmente si ritornerà come nei tempi antichi.
RispondiEliminaMa durerà per poco, gli uomini non cambiano...
Complimenti!
Graziella